Perché il teatro?
Conversazione con Ivonne Donegani
Arte, salute, società: per comprendere il modo e il valore dell’incontro di queste realtà attraverso l’attività teatrale con pazienti psichiatrici, abbiamo incontrato il direttore del Centro di salute mentale dell’azienda Usl di Bologna.
A undici anni dalla nascita del progetto “Arte e salute”, che senso ha per il Dipartimento di salute mentale continuare a promuovere un’attività come quella teatrale?
«Per una struttura operativa della nuova psichiatria come il nostro Dipartimento, l’attività teatrale permette di aprirsi a nuove forme di riabilitazione. Fare teatro svolge infatti un’azione terapeutica, abilitativa e riabilitativa attraverso cui far emergere qualità espressive personali altrimenti oscurate dalla situazione clinica di partenza. Questo perché la crisi psichica non cancella ma oscura delle potenzialità e dei talenti che possono riaffiorare attraverso la pratica artistica. Ma forse la prospettiva più interessante emersa nel continuum dell’attività della compagnia “Arte e salute”, in più di dieci anni di spettacoli, è di aver costruito un nuovo, determinante contesto di professionalizzazione».
Cosa significa in questo contesto essere riconosciuti professionalmente come attori?
«Vuol dire poter ricomporre la propria identità sociale e la personale autonomia attraverso il lavoro in campo artistico e intellettuale. E si tratta di un mestiere vero! Non tutti possono arrivare a fare teatro. Le compagnie si formano infatti a partire da un gruppo di pazienti indicati dai colleghi del dipartimento all’interno del quale poi i registi hanno ricercato talenti veri, indipendentemente dalla patologia, per far emergere o stimolare una creatività che in molti casi ha funzionato da incentivo per intraprendere percorsi artistici e lavorativi differenti sulla strada che ognuno ha ritenuto più confacente alla propria espressività».
Le persone con disagi psichici hanno notoriamente una grande pratica di ‘allenamento’ nei confronti del mondo interiore, un aspetto fondamentale per un certo lavoro d’attore…
«In proposito mi ritornano sempre in mente due episodi che custodisco come preziosi ricordi. Alcuni degli attori impegnati nelle compagnie sono anche miei pazienti ed è con loro che mi soffermo maggiormente in seguito alle performance spettacolari per complimentarmi e condividere sensazioni e stati d’animo. Ebbene, proprio in quelle circostanze, mi hanno confessato di essere riusciti a vivere, grazie al personaggio, emozioni che altrimenti avrebbero avuto paura a gestire; o ancora, in occasione della rappresentazione di Sogno di una notte di mezza estate, un attore delegava alle caratteristiche del personaggio tutta la sua bravura. In altri termini ciò significa che il processo creativo, inteso come possibilità di giocare altri ruoli da sé, finalizza in senso creativo l’immaginazione e insegna a modulare e gestire le emozioni, a migliorare le competenze comunicative, quindi a interagire in maniera più consona con gli altri. Sulla qualità del percorso artistico di queste persone bisogna naturalmente affidarsi al giudizio del regista Garella, il quale rileva una capacità di modulare sul personaggio qualcosa che appartiene già al proprio io, una chiave d’accesso personale ma efficacissima per lavorare sul ruolo che difficilmente si riscontra negli attori che non vivono gli stessi disagi. “Arte fecondata dalla follia”, diceva la Merini…».
Avete riscontrato delle trasformazioni evidenti rispetto alle situazioni critiche di partenza?
«Certamente. Innanzitutto si assiste a una diminuzione delle situazioni di crisi, ma anche laddove esse continuano a manifestarsi con una certa costanza sono comunque vissute ed elaborate senza rappresentare un ostacolo allo svolgimento della vita quotidiana. In generale si avverte un miglioramento complessivo dei sintomi e dell’ “espressività” degli stati depressivi che diventano maggiormente gestibili. Questo vuol dire che non si può parlare di guarigione tout court ma di un aumento di autostima e della qualità della vita in termini di socialità. Proprio come in altre patologie croniche, dunque, il disagio psichico può diventare compatibile con le esperienze quotidiane, imparando a convivere con i propri disturbi.
In questo senso all’interno del dipartimento tutti i progetti riabilitativi sono finalizzati al reinserimento in società, nella convinzione che crisi e sofferenza sono sì soggettivamente devastanti ma è la difficoltà di un vissuto all’interno del gruppo sociale a bloccare davvero qualsiasi percorso di inserimento. Attività come Psicoradio, come le cooperative sociali e agricole o l’impegno nell’ambiente sono strategie abilitative che consentono di riprendere le abilità offuscate e attraverso questo processo inserirsi nel mondo del lavoro».
Negli anni ’80 lo psichiatra Ferruccio Giacanelli affermava che tutto il peso della psichiatria risiedeva nelle sue stesse parole, in quei termini che «fissano un frammento di realtà e lo caricano di significato, il più spesso negativo, per cui la gente è abituata a diffidare della malattia mentale».
Salute mentale – Salute della comunità: come si coniugano oggi queste due obiettivi?
«Con l’evento spettacolare e la sua fortissima azione culturale di destigmatizzazione verso gli stereotipi di inaffidabilità, sospetto se non addirittura pericolosità che connotano negativamente la malattia mentale. Non soltanto un effetto benefico su chi fa teatro, quindi, ma soprattutto sui suoi familiari e sulla comunità tutta, sollecitando una nuova sensibilità e la consapevolezza della dignità del paziente psichiatrico, dei suoi diritti di cittadinanza. In una recente ricerca è emerso che quasi tutti i dipartimenti di salute mentale dell’Emilia Romagna svolgevano avevano inserito l’attività teatrale come momento fondamentale nei processi riabilitativi. La rassegna DiversaMente proposta all’Arena del Sole è, proprio per questo, un decisivo momento di condivisione dei percorsi realizzati nell’intera regione. Soddisfatti dei risultati, siamo soprattutto ancor più motivati a proseguire tale fecondo innesto fra prospettive cliniche e saperi extra-medici, culturali, nella convinzione che solo da qui si può partire e continuare a produrre profondi cambiamenti nell’animo umano».
Elisa Cuciniello