Il doppio spettacolo di Arte e Salute

22 giugno 2011

Lo psichiatra Filippo Renda racconta come è nata un’esperienza artistica con importanti valenze riabilitative

Il progetto “Arte e Salute” nasce dall’incontro di Nanni Garella con il dottor Filippo Renda. Abbiamo incontrato Renda, esponente di spicco di Psichiatria Democratica ed ex direttore del Dipartimento di salute mentale dell’azienda Usl di Bologna, ora in pensione.

Come è nato il progetto che avvicina la psichiatria al mondo del teatro?

«La prima idea risale a molti anni fa. Intorno al 1980 cominciai a lavorare a San Giorgio di Piano, occupandomi dei nuovi servizi psichiatrici dopo l’approvazione della legge Basaglia del ‘78. All’epoca avevo creato dei gruppi di discussione con i pazienti, che erano abbastanza aperti, e avevo invitato Nanni Garella, mio amico, a partecipare. Pensavo già alla possibilità di organizzare nuove attività per i pazienti e avrei voluto che una di queste fosse la recitazione. Con Nanni si parlò molto, ma vicende di vita e di lavoro non resero possibile approfondire queste riflessioni e quindi realizzare il progetto. Nanni si trasferì a Brescia, io continuai lavorare a San Giorgio di Piano e nel 1989 divenni primario responsabile del Centro di salute mentale. Nessuno ci crederà, ma una notte, in quello stesso periodo, mi capitò di sognare di Nanni e del nostro vecchio progetto mai realizzato. Lo raccontai ad Angelo Giovanni Rossi, l’attuale presidente di Arte e Salute, che all’epoca era il mio direttore generale e ricontattai Nanni, che nel frattempo era tornato a Bologna. Dopo appena due mesi il progetto prese il via».

La vostra è stata la prima esperienza di teatro in psichiatria sul territorio regionale?

«Altre esperienze c’erano già state, un po’ ovunque, ma di arteterapia: laboratori a scopo puramente “terapeutico” , che non avevano l’obiettivo di mettere in piedi di una vera e propria compagnia professionale. Noi ci siamo detti che di trattamenti ce n’erano già abbastanza e che la vera sfida era quella di riuscire a far lavorare i pazienti».

Qual è stato il processo di messa a punto e di gestione del progetto?

«C’è stata una prima selezione di cui ci siamo occupati noi operatori, a cui è seguita una seconda scelta affidata a Nanni Garella, ovviamente basata sulle potenzialità artistiche degli aspiranti attori. Gli operatori si sono occupati, e si occupano, di aiutare i pazienti a raggiungere i luoghi della formazione e svolgono tutti i normali servizi di sostegno e accompagnamento. Una psicologa cura la convivenza e la coesione nel gruppo. Per quanto mi riguarda, il compito che avevo in qualità di direttore, ma che svolgo tuttora, è quello di supervisionare tutte le attività e di risolvere i problemi che via via si possono creare».

Oltre all’aspetto professionale, che tipo di obiettivi si pone il progetto teatrale di Arte e Salute?

«Uno degli stereotipi creati dagli psichiatri, un vero processo di falsificazione della realtà, è la convinzione che il destino naturale dei malati non possa essere altro che la demenza. Non è così, a meno che i pazienti non vengano lasciati a loro stessi oppure, ancor peggio, chiusi nei manicomi o in strutture simili. Se adeguatamente trattate e supportate, invece, queste persone riescono a fare le stesse cose che fanno i cosiddetti “normali”. Ovviamente con alcuni limiti, ammesso che i “normali” non ne abbiano. Il primo obiettivo che ci poniamo è quindi quello di dimostrare concretamente la falsità di un simile assunto, che si tramanda immutato fino ad oggi nella storia della psichiatria. I pazienti che fanno parte della Compagnia Arte e Salute sono tutti in cura da una decina di anni e mi pare che il risultato ottenuto sulla scena non sia la demenza. Il secondo obiettivo è strettamente legato al teatro: la scena è un potente strumento di comunicazione e possiede un grande potenziale di coesione sociale. Quando si assiste a uno spettacolo con pazienti psichiatrici e attori professionisti, ci si trova di fronte a una manifestazione di inclusione e di cooperazione, a un patto concreto e visibile. è la dimostrazione pubblica del passaggio dalla psichiatria della pulizia della città alla psichiatria dell’inclusione sociale, dai servizi “spazzini” di un tempo a quelli “riciclatori” di oggi. Devo dire Un e- casino Royaume-uni vous offrira avantages incroyables pour les gens riches qui aiment jouer. che non mi aspettavo risultati di così alto livello artistico, pensavo al massimo di poter girare per teatri parrocchiali; questi lavori hanno superato ogni mia aspettativa. La ricaduta sui pazienti è eccezionale: non guariscono, ma sono molto felici, come capita a chiunque abbia la fortuna di poter lavorare bene».

Come agiscono questi spettacoli sulla percezione dello spettatore?

«Lo spirito che uno spettatore dovrebbe avere nell’assistere a questi lavori è lo stesso che ha qualsiasi amante del teatro nel godere di una buona regia e di una buona recitazione. A questo valore se ne aggiunge un altro: l’esperienza diretta del lavoro comune agisce sullo spettatore, lo meraviglia, distruggendo gli stereotipi diffusi sulla malattia mentale, il pregiudizio che un “matto” non dovrebbe stare su un palcoscenico. è come osservare un doppio spettacolo».

Oltre al teatro di prosa quali attività sono offerte ai pazienti?

«Il progetto “Arte e Salute” comprende la Compagnia Senza-Sipario del teatro ragazzi, il Teatro di Figura con i burattinai, che ha avuto un’esistenza più accidentata, ma che adesso si sta riprendendo e la Psicoradio. Al di fuori del progetto artistico ci sono altre realtà, ad esempio la cooperativa di ceramica che fondai con dei pazienti molti anni fa, che è ancora lì, viva e che lavora; è l’unica cooperativa della zona fondata da pazienti: il consiglio di amministrazione, tranne il presidente, è interamente composto da pazienti. Esiste anche una cooperativa che si occupa del verde e dei giardini, vari gruppi di auto mutuo aiuto. Questo tipo di attività potevano bastare alla fine degli anni Settanta, quando i pazienti erano per lo più contadini e operai che avevano spesso solo la terza media e pochissimi il diploma di maturità: il progetto di vita che avevano alle spalle era per lo più legato al lavoro manuale. Tutte le cooperative che nascevano, quindi, anche se avevano un’impronta artistica, erano comunque basate sul lavoro manuale. Invece, già dagli anni Ottanta, con l’aumento del grado di istruzione, sono aumentati i pazienti diplomati e laureati, con fallimenti riguardanti progetti di vita culturalmente più complessi. Al fine della restituzione e della realizzazione dei progetti personali, i servizi hanno dovuto far fronte alle nuove esigenze, articolarsi e diversificarsi. C’è stato bisogno di ipotizzare altri percorsi di inserimento e Arte e Salute è la dimostrazione del successo di questa scelta».

Alessandra Cava

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